Trombocitemia e una terapia su misura

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Le piastrine sono elementi del sangue presenti in numero variabile tra 145 e 400.000 per micro litro e rappresentano gli attori principali nel processo di coagulazione del sangue. Vengono prodotte nel midollo osseo dove derivano dalla stessa cellula staminale totipotente che dà origine anche agli altri elementi corpuscolati del sangue (globuli rossi e globuli bianchi) e di lì liberate nel circolo periferico. La trombopoietina (TPO) è un ormone che regola la produzione delle piastrine agendo su un recettore chiamato MPL sia a livello della cellula staminale che delle piastrine. In condizioni normali la concentrazione plasmatica di trombopoietina è inversamente proporzionale al numero delle piastrine. Un aumento del numero di piastrine (piastrinosi o trombocitosi) può riscontrarsi in condizioni diverse ed essere secondario o reattivo a stati infiammatori (incluse le malattie infiammatorie croniche intestinali e le collagenopatie), splenectomia recente, carenza di ferro, emorragia acuta, infezioni, tumori solidi. Talora la piastrinosi può essere primitiva e dipendere da una proliferazione incontrollata della cellula staminale differenziata in senso mieloide, come accade per esempio nelle malattie mieloproliferative croniche. Tra queste, quella che più caratteristicamente si presenta con l’aumento prevalente o isolato delle piastrine è la trombocitemia essenziale che in Europa colpisce circa 0,6-2,5 persone ogni 100.000 abitanti ogni anno. I pazienti con trombocitemia essenziale presentano valori di TPO normali o aumentati più probabilmente per una riduzione del suo recettore sulle piastrine. Il sospetto di trombocitemia essenziale si pone in presenza di piastrine superiori a 450.000/ mmc e la diagnosi richiede che siano escluse cause di piastrinosi secondaria e le altre malattie mieloproliferative croniche (leucemia mieloide cronica, mielofibrosi, policitemia vera) o quelle mielodisplasie che talvolta si associano a trombocitosi, quali la sindrome del 5q- o la RARS-t. La mutazione somatica del gene JAK2 (V617F) è presente in circa la metà dei pazienti affetti da trombocitemia essenziale.

Questa mutazione è stata scoperta nel 2005 dall’Ematologia sperimentale dell’Università di Basilea in collaborazione con l’Ematologia di Pavia. La proteina JAK2 è una proteina ad attività tirosinchinasica (detta Janus Kinase per la struttura “bifronte” che ricorda quella del dio pagano Giano) coinvolta nel meccanismo che consente la trasmissione dello stimolo alla proliferazione dal recettore presente sulla cellula (a esempio il recettore dell’eritropoietina o della trombopoietina) al nucleo. La mutazione determina un aumento dell’attività di JAK2 con conseguente proliferazione incontrollata della cellula. La presenza della mutazione (che si riscontra anche nel 95% delle policitemie vere e in poco meno del 50%delle mielofibrosi) è stata introdotta nella nuova recente classificazione delle malattie mieloproliferative croniche dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO, World Health Organization) come criterio maggiore per la diagnosi. In una piccola percentuale di pazienti con trombocitemia essenziale sono state riscontrate mutazioni “attivanti” dell’esone 10 del gene che codifica per MPL. Questi pazienti alla diagnosi, hanno in genere valori di piastrine più elevati ed emoglobina inferiore rispetto ai pazienti portatori della mutazione di JAK2 i quali, per contro, hanno spesso una malattia a impronta policitemica (cioé tendono a avere emoglobina ed ematocrito alto come accade nella policitemia vera). Sia le mutazioni di JAK che di MPL rappresentano un evento secondario che caratterizza queste malattie ma non le determina. Mutazioni del gene Mpl e del gene per la trombopoietina sono state identificate in casi di trombocitosi ereditaria.

Esistono delle forme familiari di malattie mieloproliferative croniche nelle quali viene trasmessa la predisposizione a sviluppare la patologia (trasmissione autosomica dominante a penetranza ridotta) ma non è dimostrata una trasmissione delle mutazioni geniche note a oggi. L’andamento clinico delle forme familiari è simile a quello delle forme sporadiche. Il più delle volte la diagnosi di trombocitemia essenziale è occasionale, successiva al riscontro di piastrinosi nel corso di esami di routine. Nel 35% dei casi sono presenti sintomi quali vertigini, ronzii auricolari, cefalea, parestesie alle estremità, disturbi della vista, cute marezzata, fenomeno di Raynaud, eritromelalgia (senso di bruciore alle mani e ai piedi accompagnato da arrossamento e calore), raramente prurito al contatto con l’acqua e molto raramente sintomi sistemici quali sudorazioni notturne, febbre o calo ponderale. Circa un paziente su cinque presenta alla diagnosi un modesto ingrandimento della milza e del fegato. Il quadro clinico può complicarsi (nel 15- 30% dei casi alla diagnosi) con eventi vascolari sia di natura trombotica (infarto cardiaco, angina, ischemia cerebrale, trombosi venose profonde anche in sedi atipiche come il distretto splancnico o tromboflebiti superficiali) che emorragica (epistassi, gengivorragia o emorragie del tratto gastroenterico, più frequenti nei pazienti anziani che hanno già una storia di sanguinamenti o assumono aspirina).

Generalmente le persone affette da trombocitemia essenziale conducono una vita normale in condizioni di benessere. L’aspettativa di vita di questi soggetti è pressoché sovrapponibile a quella del resto della popolazione con un rischio di trasformazione ed evoluzione in mielofibrosi e leucemia acuta che nei primi dieci anni dalla diagnosi è inferiore al 1%. Ciò è vero soprattutto nei pazienti giovani (età inferiore a 60 anni) che non presentino alla diagnosi un numero di globuli bianchi superiore a 11000 per microlitro e che non abbiano una storia passata di eventi trombotici. Sulla scorta di questi dati è possibile calcolare un indice di rischio (IPSET) che consente di stratificare i soggetti in tre categorie a diversa prognosi. Negli ultimi anni, inoltre, sono stati ulteriormen- te indagati potenziali fattori di rischio trombotico al fine di individuare il profilo di quei pazienti che, nonostante una profilassi, finivano per sviluppare una complicanza trombotica.

È stato dimostrato che l’età superiore a 60 anni, la storia di trombosi, la presenza di altri fattori di rischio cardiovascolare (fumo di sigaretta, ipertensione arteriosa..) e la presenza della mutazione JAK2V617F sono fattori di rischio “indipendenti” (ciascuno indipendentemente dalla presenza degli altri, aumenta il rischio che si verifichi un evento trombotico) che consentono di calcolare un “punteggio” IPSET-thrombosis (score in uso dal 2012) utile al medico nella scelta di una terapia adattata al rischio. L’approccio corrente (incoraggiato dagli studi dell’International Working Group for Myeloproliferative Neoplasms Research and Treatment IWG-MRT e tradotto in un algoritmo efficace dal prof Barbui e dal Prof. Tefferi in un lavoro pubblicato di recente su Leukemia) prevede la prescrizione di aspirina una volta al giorno nei pazienti giovani con sintomi riferibili a disturbi del microcircolo o altri fattori di rischio trombotico o della mutazione di JAK2.

La sola osservazione periodica è accettabile nei pazienti giovani che non abbiano nessuno dei quattro fattori di rischio IPSET trombosi. La terapia citoriduttiva (con l’intento quindi di riportare la conta delle piastrine e dei leucociti a valori normali) è mandatoria indipendentemente dall’età nei pazienti che hanno avuto una trombosi (accanto a una adeguata terapia anti coagulante/anti aggregante dipendentemente dal tipo di evento trombotico). Il farmaco di prima scelta è l’idrossiurea (onco carbide), un farmaco che si assume per via orale ed è in genere ben tollerato; nelle persone intolleranti o resistenti alla terapia con idrossiurea, valide alternative sono l’interferone (anche in gravidanza), l’anagrelide e, negli anziani, il busulfano. Ai soggetti che abbiano più di 60 anni viene in genere prescritta una terapia con idrossiurea e aspirina indipendentemente dalla presenza di altri fattori di rischio.

Tuttavia il ruolo preventivo della terapia citoriduttiva, quando il solo fattore di rischio per trombosi è l’età, non è così consolidato da scoraggiare l’utilizzo della sola aspirina in casi selezionati (uno per tutti, il paziente con diagnosi posta a cinquanta anni; se le sue condizioni cliniche sono invariate quando ne compie sessanta è accetta- bile che continui con la sola terapia antiaggregante). Nei pazienti che non sono candidati a una terapia citoriduttiva, la persistenza di sintomi o manifestazioni imputabili al microcircolo o la coesistenza di fattori di rischio trombotico e della mutazione JAK2V617F giustificano la prescrizione di aspirina due volte al giorno per valori di piastrine inferiori al milione. Si è fatta strada l’ipotesi che l’inibizione del- l’aggregazione piastrinica da parte dell’aspirina nei pazienti con un elevato “turnover” piastrinico possa essere incompleta, determinando una sorta di resistenza che può essere superata dalla somministrazione del farmaco due volte al giorno, sebbene questo approccio terapeutico meriti di essere valutato nell’ambito di studi clinici controllati.

In conclusione, gli studi clinici ci raccontano come l’identificazione di categorie di rischio abbia consentito di ottimizzare la terapia della trombocitemia essenziale e di ridurre ulteriormente il numero di persone che ancora vanno incontro a complicanze vascolari e ribadiscono l’importanza di una fotografia precisa del paziente che abbiamo di fronte per offrirgli la terapia migliore.

Dott.ssa Eliana Valentina Liardo